Il potere degli oggetti consiste nella loro capacità o caratteristica di sopravvivere alle vicende umane?
Tra tutte le storie d’amore della letteratura quella tra Kemal e Fusun va oltre la scrittura, la fantasia e forse la biografia dell’autore e si materializza in un museo fisicamente allestito, con le sue 83 vetrine che, come in un gioco di specchi, corrispondono agli 83 capitoli del libro.
Il romanzo “L’innocenza degli oggetti” è opera di Orham Pamuk, premio Nobel per la letteratura nel 2006. Il Museo è stato aperto nel 2012 nel quartiere Cukurcuma di Istanbul, e qui hanno trovato meticolosa sistemazione più di un migliaio di oggetti – insieme alla ricostruzione di alcuni contesti – “appartenuti” alla protagonista del romanzo.
Il Museo dell’innocenza può essere considerato il Manifesto di ciò che ci si aspetta oggi da un “museo contemporaneo”: un luogo più piccolo, più individualista e meno costoso rispetto ai grandi musei nazionali; un luogo dove privilegiare le “storie” piuttosto che la “storia” così da poter rivelare l’umanità degli individui. Un museo che attraverso la narrazione e l’esposizione dei propri oggetti possa ricostruire storie universali nelle quali potersi identificare.
Resta il fatto che – nella vita reale – il rapporto con gli oggetti e con quello che essi rappresentano rimane sempre qualcosa di molto personale e filtrato dalla propria esperienza e individualità. Lo esprime con chiarezza Kemal, il protagonista del romanzo:
“…quando indichiamo il momento più felice della nostra vita, siamo anche consapevoli che si tratta di un passato remoto che non tornerà mai più, e questo provoca in noi un grande dolore. L’unica cosa che rende questo dolore sopportabile è possedere un oggetto, retaggio di quell’attimo prezioso. Gli oggetti che sopravvivono a quei momenti felici conservano i ricordi, i colori, l’odore e l’impressione di quegli attimi con maggior fedeltà di quanto facciano le persone che ci procurano quella felicità”.